Pagina:Italia. Orazione detta la sera del 13 marzo del 1917 al Teatro Adriano in Roma.djvu/21

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Così dolce era il succo di questo nuovo dono di bontà con il quale l’Italia rinasceva.


Se non trovate in questi albori, nè poi, purtroppo unità nazionale, voi vedete però i costumi temperati da questo sentimento di carità e di semplicità che dànno possanza. Sentimento che accompagna per un pezzo il risveglio della vita politica, la parziale libertà e l’inizio dell’opulento trionfo commerciale che renderà l’Italia fino a tutto il Rinascimento dominatrice se bene divisa e in protezione.

Da questo nasce la vita nuova dei Comuni e la Lega lombarda come era nata la cristiana cavalleria.

Sentimento che mi preme indicare come l’odoroso alito animatore della primavera italica, come la sola realtà che faceva una la patria.

L’Arte e il popolo composero il miracolo.

La virtù divina della Madre nostra non si perdeva, rinasceva, si ripeteva mutandosi.

Pareva che tra i lontani padri abitatori delle selve e delle spelonche, contemplatori della natura, innamorati dell’eternità, e certi uomini di quel tempo, fosse una segreta comunione.

Ritornando alle origini, l’arte riscontra la madre: e vi ritorna insieme con tutto il popolo. I pittori fiorentini senesi pisani lucchesi dipingevano i santi con l’umile espressione dei contadini. E che è questo se non la deificazione di un popolo? di un popolo che l’arte affermava ormai libero e diverso, nei suoi caratteri essenziali?