Pagina:Italia. Orazione detta la sera del 13 marzo del 1917 al Teatro Adriano in Roma.djvu/22

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L’Angelico che così bene si transumanava, dipingeva le sue visioni paradisiache con tale armonia di colori quasi direi di suoni, che il paradiso scendeva nel cuore terreno dell’umile popolo adorante.

Mentre il popol tedesco e d’ogni sorta i barbari favoleggiavano d’eroi di grossolana virtù e di gesti sorprendenti, tutto simboleggiando con astrusa materialità, la musa italiana aveva già segnato quanto di bene e di male è nell’uomo e quanto di divino e di umano è nel suo regno di giustizia.

E se taluno poi come Sandro Botticelli potè dipingere, e lo fece con nuovo garbo, il venticello zeffiro, e accarezzare la pelle di un centauro, — dipingendo la Primavera, egli, umanissimo, le dette il segno schietto e materno della gravidanza e la cinse di un’aureola di santità.

In questo vasto e multanime periodo si delineano le tendenze delle arti e, mentre il simbolo, cioè l’enfiagione brutale e mastodontica del reale, è barbaro; l’arte italiana porgeva al mondo la schiettezza naturale dei suoi capilavori e si formava un miracolo di gentilezza, ignoto anche ai Romani, che pur ne favoleggiarono; nasceva in Italia una virtù d’arte assai maggiore della bellezza che è la bellezza della bellezza, virtù somma dell’arte italiana e che si chiama la Grazia!

La Grazia che componeva la danza senza offendere l’amore e che sposata alla bontà concedeva ai pittori di questo maraviglioso tempo raffigurare la madonna umilmente vestita e col volto rassegnato e buono di una donna del popolo, senza che per questo svanisse la devozione e la santità dell’opera.