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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/151

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Cicerone 131


Bellissimo è l’udire esposta la virtù in parole sì eloquenti com’egli fa; ma se gli richiediamo una norma fissa, troviamo o il vuoto o l’eccesso. Ne’ suoi Paradossi Stoici ci dirà che «il savio non perdona veruna colpa, guardando la compassione come debolezza e follia; — in quanto è savio, egli è bello benchè scontraffatto; è ricco benchè muoja di fame; è re benchè schiavo; — chi non è savio, è pazzo, brigante, nemico; — è colpa eguale uccidere o un pollo pel desinare, o il padre: — il savio di nulla dubita, mai non si risente, non s’inganna, non cangia d’avviso, non si ritratta». Certo non è con questi teoremi che si educherà al vero la mente, alla bontà il cuore. Lo Stoico impugnerà gli Epicurei, che non discernono il piacevole dall’onesto: ma questo onesto ove lo troverà? dove questa virtù, a cui la volontà deve aderire?1 Cicerone, anzichè sodare verità generali, cerca l’applicazione utile, e utile ai Romani: evita pertanto ogni regola angustiante; raccomanda di non istaccarsi troppo dalle vie battute, quand’anche non le approvi la stretta morale; l’avvocato può sostenere una causa non giusta; per gli amici uno può permettersi cose che non farebbe per sè stesso2; ciascuno nell’operare deve riguardo alla propria indole, cui inerisce sempre qualche difetto: nessuno è obbligato all’impossibile: e l’uno è più atto a questa, un altro a quella virtù. Così attempera l’onestà alla convenienza.

Cicerone ha vivissimo il sentimento della sociabilità: crede istinto dell’uomo la convivenza, indipendentemente dal bisogno che se n’ha: ed esserne legge la indulgenza e benevolenza universale: nulla v’ha di meglio che l’amare i nostri simili, che l’essere buoni e far bene3: il riscattare i prigionieri e nutrire i poveri trova generosità ben

  1. «Quid est igitur bonum? Si quid recte fit et honestum et cum virtute, id bene fieri vere dicitur: et quod rectum et honestum et cum virtute est, id solum opinor beatum». Paradox. I. È un paralogismo.
  2. «Quæ in nostris rebus non satis honeste, in amicorum fide honestissime, ut etiam si qua fortuna acciderit, ut minus juste amicorum voluntates adjuvandæ sint, in quibus eorum aut caput agatur aut fama, declinandum sit de via, modo ne summa turpitudo sequatur». De Amicitia, 16, 17.
  3. «Natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum juris est». De leg. I, 13. — Studiis officiisque scientiæ præponenda sunt officia justitiæ, quæ pertinent ad hominum caritatem, qua nihil homini debet esse antiquius». De off. I, 43. — Quid est melius aut quid præstantius bonitate et beneficentia?» De nat. Deorum, I, 43.