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286 | illustri italiani |
cose sacre, la ripugnanza contro ogni autorità, l’opporre il rispetto della parola effimera a quello della parola eterna, il non credere che a sè stessi, eppur pretendere d’essere creduti da tutti.
Questi insegnamenti dei filosofisti riceveano fomento dalla sregolatezza dei nobili, dallo scandalo della Corte, dagli spiriti secolareschi del clero; sicchè l’anelito di cambiamento trasfondeasi in ogni istituzione; nessun fatto si conoscea più necessario che un grande innovamento, nessuno prometteva d’esser più conforme alla ragione: eppure nessuno procedette più disordinato e violento.
In questo farnetico di abbattere consiste la capitale differenza fra due rivoluzioni, che in apparenza si somigliano tanto, la francese e la inglese. In quest’ultima non si tralasciò spediente o precauzione o finzione per togliere alla nuova dinastia l’aria di novità, nè lasciar credere si fosse sovvertito il sistema ereditario. Nell’interregno fra la partenza di Giacomo II e la venuta di Guglielmo d’Orange, oltre quelli che insistevano perchè si patteggiasse col fuggitivo, i più voleano si continuasse la sua effigie sulle monete, il suo nome alle ordinanze d’una reggenza; altri, negando al popolo il diritto di stronizzare il re, diceano che colla fuga egli avesse abdicato di fatto, onde la corona passava di diritto al prossimo suo erede, cioè il marito di sua figlia Maria1. Solo il re fu dunque cambiato, e gl’Inglesi continuarono a venerare la vecchia Bretagna.
In Francia al contrario voleasi far tavola rasa di tutto ciò che fosse antico, surrogarvi cose nuove, in modo che il ripristino riuscisse impossibile; codici, sistema di proprietà, gerarchia di classi, servitù territoriali, clero, culto, divisione e denominazioni del paese, tutto fu mutato; tutto, fin la distribuzione del tempo.
La rivoluzione parve grande perchè coll’immensa voce popolare proclamò libertà, eguaglianza, fraternità; ma questi, che si intitolano i grandi principj dell’89, erano essi veramente una nuova rivela-
- ↑ Qualcosa di simile si divisò nella rivoluzione di Parigi del 1830. M. Guizot, nel II volume pag. 26 delle sue Memorie, dice: — La monarchia di luglio, che noi fondar dovevamo, non era più monarchia elettiva che repubblica; non sceglievamo un re: trattavamo con un principe che trovavamo accanto al trono, e che solo, col salirvi, potea garantire il nostro diritto pubblico, e salvarci dalla rivoluzione. L’appello al suffragio popolare avrebbe dato alla monarchia riformata il carattere appunto che noi tenevamo ad allontanarne: avrebbe messo l’elezione al posto della necessità e del contratto».