Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/386

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364 illustri italiani

per la riforma del buono stato, assicurando agli altri, e fors’egli stesso persuadendosi che il papa gli saprebbe grado di sottrar Roma sua alla tirannide de’ baroni.

Consistevano le riforme di lui in garantire la persona de’ cittadini contro gli arbitrj della nobiltà, ordinare milizie urbane in Roma e vascelli sulle coste, sicurare ponti e vie, abbattere le fortezze e gli steccati da cui i baroni esercitavano la prepotenza; pronta giustizia; granaj perchè il povero non patisse fame; provvidenze pubbliche per le vedove e gli orfani, massime di uccisi in battaglia. Invitò ciascun Comune a spedire due sindaci al congresso generale di Roma, il che è il primo esempio d’un parlamento rappresentativo: sicchè con questo e colla federazione italiana ch’egli proponeva, un’êra nuova poteasi aprire all’Italia, posta a capo dell’Europa un’altra volta.

Queste ultime finezze non le intendeva il popolo; bensì la sicurezza, il buon mercato, i sussidj, il ritorno del papa: incaricò Cola di effettuar quella costituzione col titolo di tribuno, e gli diede braccia per ridurre in fatto i provvedimenti: ed esso s’impadronisce delle porte, e fa appiccare alcuni masnadieri côlti in città. Stefano Colonna, che alle prime avea stracciato l’ordine mandatogli d’uscire di Roma, udendo che Cola raccoglieva le compagnie del popolo, n’ebbe assai a salvarsi; e poichè egli era il più potente fra i nobili, gli altri ne rimasero sgomenti, e se n’andarono, abbandonando i loro bravacci alla giustizia.

Rimessa quiete in città, Cola spedì corrieri alle inaccessibili rôcche dei Colonna, degli Orsini, dei Savelli, citandoli a comparire e giurare la pace; ed essi il fecero, promettendo non turbar le strade, non nuocere al popolo o ai tribuni, non ricettare malfattori; sicchè i Cristiani, che d’ogni parte venivano alle soglie de’ santi apostoli, trovavano un’isolita sicurezza; e reduci in patria, magnificavano la robustezza del tribuno.

Ad Avignone avea messo sgomento quel primo moto, quando giunsero lettere di «Nicola, severo e clemente, di libertà, di pace e di giustizia tribuno, della santa romana repubblica liberatore illustre», ove prometteva fedeltà alla santa sede; altre ne spedì ai potentati di tutta Italia, di Francia, di Germania. Il tentativo parve lodevole a quei molti che pasceansi di rimembranze più che d’opportunità: gli applausi, che il Petrarca diede al cavaliero che onorava tutta