Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/405

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ovidio 383

personaggi il carattere simbolico e il senso religioso, o le altera coll’innesto di elementi disparati: e le oscene avventure di cui si compiace applica talvolta a divinità di reputazione morale.

Accontentiamoci di riconoscergli un talento agile, un pennello versatile, e magia di colorito, verso facile e armonioso più che negli altri; onde di stile limpido, analitico.

Ovidio si lagnava di non aver potuto dar l’ultima lima a quest’opera, e in un momento di dispetto volea fosse gettata al fuoco; ma altre volte sentiva esser a quella raccomandata l’immortalità del suo nome1.

Questo lavoro gli fu interrotto dal caso che più restò conosciuto e disputato dai posteri. A cinquant’anni, allorchè, calmato il fuoco delle passioni, cercasi tranquillità nelle consuetudini, negli studj, nell’amicizia, nella famiglia, ecco un decreto d’Augusto sbandisce Ovidio d’Italia, e lo relega nel Ponto. L’esiglio per gli antichi era pena gravissima, e viepiù quando l’Impero talmente erasi esteso, che non potevasi subirlo che in paesi lontanissimi, e privi non solo delle comodità e dei vantaggi d’una patria grande, adorna, venerata, ma fin da quelli della civiltà, i cui confini erano omai quelli dell’Impero romano. Propriamente esiglio non era quel di Ovidio, bensì relegazione in una parte lontana dell’Impero2. Non v’era stato processo, non condanna; Augusto, col paterno despotismo che le abolite

  1.                Inspice majus opus, quod adhuc sine fine reliqui,
                        In non credendos corpora versa modos....
                   Dictaque sunt nobis, quamvis manus ultima cœpto
                        Defuit, in facies corpora versa novos.

    Trist. II.

                   Carmina mutatas hominum docentia formas
                        Infelix domini quod fuga rupit opus,
                   Hæc ego discedens, sicut bene multa meorum,
                        Ipse mea posui mestus in igne manu.
                   Vel quod eram Musas ut crimina nostra perosus,
                        Vel quod adhuc crescens et rude Carmen erat.

    Trist. I, 7, e vedi Am. I, 7.

  2.                Nec mea decreto damnasti facta senatus,
                        Nec mea selecto judice jussa fuga est....
                   Adde quod edictum, quamvis immane minaxque,
                        Attamen in pœnæ nomine lene fuit.
                   Quippe relegatus, non exul dicor in illo,
                        Parcaque fortunæ sunt data verba meæ.

    Trist. II.

                        Nec mihi jus civis, noc mihi nomen abest.

    Trist. V, 2.