Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/442

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418 illustri italiani

come una certa cagione dell’universo, la quale, amata e desiderata, tira a sè tutte le cose; e ti conosceva come un principio eterno e immobile di tutti movimenti, e come signore che in universale provede alla salute del mondo e di tutte le specie che da lui son contenute. Ma dubitava se tu avessi creato il mondo, o se ab eterno egli da te dipendesse; se tu avessi dotato l’uomo d’anima immortale; se tu fossi disceso a vestirti d’umanità.... Come credere fermamente ne’ sacramenti o nell’autorità del tuo pontefice, se dell’incarnazione del tuo figliuolo o dell’immortalità dell’anima era dubbio?... Pur m’incresceva il dubitarne, e volentieri l’intelletto avrei acchetato a credere quanto di te crede e pratica la Santa Chiesa. Ma ciò non desiderava io, o Signore, per amore che a te portassi e alla tua infinita bontà, quanto per una certa servile temenza che aveva delle pene dell’inferno; e spesso mi sonavano orribilmente nell’immaginazione l’angeliche trombe del giorno de’ premj e delle pene, e ti vedeva seder sopra le nubi, e udiva dirti parole piene di spavento: Andate maledetti, nel fuoco eterno. E questo pensiero era in me sì forte, che qualche volta era costretto parteciparlo con alcun mio amico o conoscente...; e vinto da questo timore, mi confessava e mi comunicava nei tempi e col modo che comanda la tua Chiesa Romana: e se alcuna volta mi pareva d’aver tralasciato alcun peccato per negligenza o per vergogna, replicava la confessione, e molte fiate la faceva generale. Nel manifestare nondimeno i miei dubbj al confessore non li manifestava con tanta forza nelle parole, con quanto mi si facevano sentir nell’animo, perciocchè alcune volte era vicino al non credere.... Ma pure mi consolava credendo che tu dovessi perdonare anche a coloro che non avessero a te creduto, purchè la loro incredulità non da ostinazione e malignità fosse fomentata; i quali vizj tu sai, o Signore, che da me erano e sono lontanissimi. Perciocchè tu sai che sempre desiderai l’esaltazione della tua fede con affetto incredibile, e desiderai con fervore piuttosto mondano che spirituale, grandissimo nondimeno che la sede della tua fede e del pontificato in Roma sino alla fin de’ secoli si conservasse; e sai che il nome di luterano e d’eretico era da me come cosa pestifera abborrito e abominato, sebben di coloro che per ragione, com’essi dicevano, di Stato vacillavano nella tua fede e all’intera incredulità erano assai vicini, non ischiarì alcuna fiata la domestichissima conversazione».