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gregorio vii 465

scienza! Enrico non s’ardì ad un atto che avrebbe risoluto ogni quistione, e si sottrasse al giudizio di Dio1.

Il secolo nostro che, idolatro della forza, s’inginocchiò al brutale insultatore d’un papa supplichevole, bene sta che raccapricci al vedere un imperatore, violator della costituzione, supplichevole ad un papa tutore dei diritti de’ popoli2.

Ma a quell’umiliazione mancava il merito espiatorio per parte d’un principe che minacciava e incurvavasi, prometteva e mentiva; sicchè gl’Italiani lo tolsero in dispregio, al ritorno gli chiusero le porte in faccia, e discorrevano di deporlo e surrogare Corrado suo figlio. Enrico, indispettito, svergognato, coll’abituale sua precipitazione, ed istigato anche da Guiberto arcivescovo di Ravenna, implacabile emulo di Roma, si pose coi nemici del papa, cercò prender questo, in una conferenza arrestò il vescovo d’Ostia da lui deputatogli, ricusò pre-

  1. Il tedesco e protestante Leo scrive: — Non mancano scrittori tedeschi che considerano la scena di Canossa come un insulto fatto alla nazione tedesca da un prelato arrogante. Accecamento non degno di popolo illuminato. Deponiamo un istante le prevenzioni nate da orgoglio nazionale e dal protestantesimo, e collochiamoci in una perfetta libertà del pensiero veramente protestante. Qui scorgeremo in Gregorio un uomo che uscito da una classe priva d’ogni politica ingerenza, e appoggiato solo alla forza del suo genio e della sua volontà, rialza dall’abbiezione un’istituzione svilita (la Chiesa), e le dà uno splendore non pria conosciuto. In Enrico al contrario vediamo un uomo (e tal nome merita appena), cui suo padre aveva lasciato un potere quasi assoluto sopra un popolo prode e ricco; e che malgrado tale pienezza di mezzi esterni, trascinalo dalla bassezza del suo carattere nel fango de’ vizj più turpi, discender a farsi vile supplicante, e dopo calpestato quanto v’ha di sacro fra gli uomini, trema alla voce di quell’eroe intellettuale. Ben fa prova di spirito limitato chi da boria nazionale si lascia accecare a segno, di non esultare del trionfo riportato a Canossa da un genio altissimo sopra un uomo vile e senza carattere». Italias Geschichte, lib. IV, cap. 4, § 5.
  2. Del resto l’aver un papa fatto o ordinato in certi casi una cosa è ben altra dall’averla prescritta. Anche Paolo III esautorò Enrico VIII e i suoi discendenti; proibì agli Inglesi sotto pena di scomunica di riconoscerlo per monarca. Non so chi lo lodi; e dianzi, quando fu bisogno di spiegare l’infallibilità pontifizia a fronte del nuovo impero germanico, i vescovi tedeschi dichiararono quella bolla «uno di que’ giudizj penali che soggiaciono alle condizioni mutevoli sia della legislazione positiva umana in genere, sia del diritto canonico in ispecie».
    Lo spodestamento non è conseguenza della scomunica; e persone pie e prelati serbarono fede a Enrico IV e a Federico II sebbene scomunicati. Un principe escluso dalla comunione dei fedeli non perde perciò i suoi diritti naturali e civili, nè i politici, nè sarà disdetto obbedirgli nelle cose civili, purchè giuste.
CantùIllustri italiani, vol. I. 30