Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/538

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riferisce passi de’ caporioni della sêtta, tutti in favore della podestà regia e contro l’origine popolare della sovranità, asserita dal Buchanan e sua scuola; la taccia di Giacobini riversa sui Gesuiti, e la ribellione e il tirannicidio, cioè quel che oggi s’intitola liberalismo.

E appunto da libero cesarista egli asserisce che tocca allo Stato stabilire l’osservanza dei giorni festivi, gl’impedimenti e le dispense nel matrimonio, nel quale dee separarsi il contratto dal sacramento, nè proibirlo al clero; peccano i pastori che sinceramente non fanno ossequio alle leggi e ai voti de’ principi per la restaurazione della disciplina ecclesiastica; esser indecente che i sacerdoti vivano dell’onorario della messa.

Gian Vincenzo Bolgeni bergamasco (1733-1811), che con soda teologia e piana logica facilmente spezzava l’artifiziosa retorica del Tamburini, oppose anche a queste lettere un opuscolo, più serio e riservato che nol lasciasse sospettare il titolo, I Giansenisti son Giacobini? mostrando come essi appoggiassero, non l’autorità, bensì il regalismo. Al venir dei Francesi, il Tamburini ballò cogli altri attorno all’albero, cantando «Viva l’Università, figlia della ragione e madre della libertà», e presentò la sua Introduzione alla filosofia morale all’amministrazione della Repubblica Cisalpina, professando, come al tempo dei duchi, i diritti sovrani sopra la Chiesa, e che «vescovi e preti non hanno propriamente se non una direzione nel puro ecclesiastico» (pag. 330). In quella Introduzione espone le lezioni cominciate nel 97, ove confuta l’utilitarismo e deriva i supremi principj morali dalla convenienza delle relazioni degli esseri e degli atti col fine stabilito dall’Autore della natura.

Al tornare degli Austriaci nel 99 il Tamburini sofferse della riazione e dei rigori del vescovo Nani; poi Napoleone lo ricollocò all’Università, dove festeggiato dagli scolari, distinto dagli imperatori di cui accattò il favore combattendo i papi, visse sino al 1825 senza mai ritrattarsi, vantandosi carico d’anni e di scomuniche. Ebbe esequie onorevolissime e un Monumento nell’Università, ma l’edizione che si cominciò delle opere sue complete non ebbe lo spaccio che speravasi dalla proibizione, e lasciossi in tronco. Forza d’ingegno, prontezza, opportuna familiarità di esprimersi in argomenti scentifici non gli negano neppure gli avversarj.

Il suo amico Zola, col quale almanaccava una specie di conciliazione tra il filosofismo francese e la fede richiamata ai primordi, pubblicò il Piano d’una riforma ecclesiastica, e per qual modo i prin-