Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/67

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dante 47

principe del romano popolo e comandatore fu ordinato, siccome testimonia Luca evangelista1.

Vedendo dunque in Italia non starsi senza guerra nessuna provincia, e combattersi fin quelli che serra la medesima mura, invoca l’imperator romano a venire a frenare questa fiera selvaggia, e unificar l’Italia nella pace dell’ordine, senza togliere le particolari istituzioni di ciascuno. Quest’unità voleva egli che assicurasse la maggior libertà di vita e di movimenti; ben lontano dall’accentramento delle moderne mediocrità, come dalla servilità de’ Ghibellini d’allora. Dai quali viepiù si scostava per la riverenza che mostrava alle somme chiavi.


XV.


Con sì stupendi cominciamenti rivelavasi la nostra lingua. Dante nella Vita nuova avea riprovato coloro «che rimano sopra altra materia che amorosa; conciossiachè cotal modo di parlare (l’italiano) fosse da principio trovato per dire d’amore». Ma nelle trattazioni civili ebbe a riconoscere la forza del vulgar nostro, e come «la lingua dev’essere un servo obbidiente a chi l’adopera, e il latino è piuttosto un padrone, mentre il vulgare a piacimento artificiato si trasmuta»; onde nel Convivio diceva: — Questo sarà luce nuova e sole nuovo, il quale sorgerà ove l’usato (il latino) tramonterà, e darà luce a coloro che son in tenebre e in oscurità per lo usato sole che loro non luce».

Frate Ilario, priore del monastero di Santa Croce del Corvo nella diocesi di Luni, inviando la prima cantica a Uguccione della Fagiuola, così gli scrive: — Qui capitò Dante, o lo movesse la religione del luogo, o altro qualsiasi affetto. Ed avendo io scorto costui, sconosciuto a me ed a tutti i miei frati, il richiesi del suo volere e del suo cercare. Egli non fece motto, ma seguitava silenzioso a contemplare le colonne e le travi del chiostro. Io di nuovo il richiedo che si voglia e chi cerchi; ed egli girando lentamente il capo, e guardando i frati e me, risponde, Pace! Acceso più e più della volontà di conoscerlo e sapere chi mai si fosse, io lo trassi in disparte, e fatte seco alquante parole, il conobbi: chè, quantunque non lo avessi visto mai prima di quell’ora, pure da molto tempo

  1. Convivio IV, 5.