Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/228

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218 illustri italiani

diedi ad Angelo Correr patrizio veneto. Scrissi pure in Padova un Commentario sulla monarchia de’ cristiani, tale da dovermene compiacere; ove mostrava per quali arti la potenza cristiana crebbe e crescerà e per quali suol decrescere, e per quali sarebbe da restaurare, parlando politicamente; ed ivi istituiva un parallelo fra il regno e il re degli Ebrei, e il regno e i re ed imperatori cristiani. Similmente scrissi al pontefice del reggimento della Chiesa, con quali modi non sottoposti alle contraddizioni dei principi di tutto il mondo può il pontefice massimo, con le sole armi ecclesiastiche, fare un solo ovile sotto un solo pastore; e tutti questi ultimi diedi a Lelio Orsino e Mario Tufo; l’originale però mi rubarono in Calabria alcuni amici infedeli. A Roma aveva anche scritto versi toscani del modo del sapere, ed una fisiologia, ma li perdei amendue in Napoli. Composi pure a Roma una poetica secondo i proprj principi, la quale diedi a Curzio Aldobrandino cardinal San Giorgio, e va per le mani di molti, benchè un tale spagnuolo l’abbia vôlta in sua lingua, e vi abbia posto il suo nome. Il che quand’io vidi in Napoli nella rôcca regia l’anno 1618, diedi in un grandissimo riso; ma gli esemplari nostri che sono sparsi ovunque, attestano contro il plagiario; e lo stesso ladro poco accorto, quasi per coprire il furto, nel fine si scusa di citare poeti italiani, come l’Ariosto, il Tasso, il Guarino, essendo egli spagnuolo. Scrissi eziandio in Roma un dialogo in lingua vulgare, del modo di convincere gli eretici del nostro tempo, e tutti i settarj insorgenti contro la Chiesa romana, buono a qualunque mediocre ingegno e con un’unica e sola disputa; e lo diedi a Michele Bonello cardinal Alessandrino, e ad Antonio Persio; di poi trasfusi questo dialogo nella lettera antiluterana ai filosofi e principi oltramontani per istaurare la religione. Oltracciò, orazioni e politici discorsi e poesie toscane e latine in buon dato, da darsi agli amici, anche da spargere col nome loro. Qui pure cominciai a comporre versi toscani in metro latino come ve ne ha nelle nostre cantiche, e per sicure regole mostrai la prosodia del nostro sermone similissima alla latina, colla quale tu puoi conoscere la quantità di ciascuna sillaba; la quale opera diedi a Giovan Battista Clavio, medico dell’arciduca Carlo a Roma e a due giovani ascolani. Finalmente nell’anno 1598 terminai in Napoli un Epilogo di fisiologia ed una Etica: di poi volgendomi in Calabria a Stilo mia patria, composi secondo la nostra poetica una tragedia