Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/73

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I. Primordj — II. Roma e le Tragedie — III. L’abate Monti e la Bassvilliana — IV. Milano. Il cittadino Monti — V. Parigi. La Mascheroniana. Marengo — VI. Regno d’Italia. Il cavalier Monti — VII. Sua famiglia — VIII. L’Iliade — IX. I critici — X. Attacchi e ripicchi — XI. Le variazioni — XII. La restaurazione — XIII. La proposta — XIV. Versi minori. I Romantici — XV. Gli amici e la fine.

I.

In un casale del Ferrarese tra Fusignano e le Alfonsine nacque Vincenzo, al 19 febbrajo 1754, da Fedele Monti e Domenica Mazari; essa pia di cuore, sicchè quando morì i contadini disputavansi per devozione i brandelli del suo vestire, egli onestamente inteso ai proprj campi. Di sette figliuoli che ebbero, quattro mandarono monache, uno cappuccino: Vincenzo destinavan alle cure campestri: ma poichè mostrava precoce ingegno scrivendo e improvvisando versi, il padre lo pose sull’Università di Ferrara, e ve l’accompagnò egli stesso. Più che del diritto, Vincenzo piacevasi de’ poeti, coi classici gustando i moderni, e principalmente i suoi compaesani, Alfonso Varano, alle cui portentose Visioni avea provato un sacro entusiasmo, ed Onofrio Minzoni, che da lui chiesto donde avesse tratta quell’evidenza, rispose: — Dante, i Profeti, l’Ariosto». Sul tipo del Varano foggiò in lode d’un predicatore la Visione d’Ezecchiello, primo lavoro che stampasse a ventidue anni (1776); e piacque tanto, che il cardinale legato Borghesi il menò seco a Roma (1778).

La poesia fu sempre il lacchezzo dei Romani; e mentre i ciocciari improvvisano lavorando, e Montigiani e Transteverini passano ore a bocca aperta ad ascoltare d’Orlando Furioso o di Meo Patacca, le persone a modo vogliono versi per tutte le occasioni; ogni abate