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nelle acque profonde 169


d’accordarsi con i fatti d’osservazione sono rappresentazioni matematiche.

Moltissimi scienziati saranno d’accordo che esse non sono niente di più che rappresentazioni, finzioni, se volete, se con finzione intendete che la scienza non è ancora in contatto con l’ultima realtà. Alcuni sosterranno che guardando la cosa da un punto di vista filosofico molto largo, l’avvenimento più saliente della fisica del secolo ventesimo non è la teoria della relatività, che ha unito insieme lo spazio e il tempo, o la teoria dei quanta con la sua apparente negazione del principio di causalità, o la disgregazione dell’atomo con la conseguente scoperta che le cose non sono quello che sembrano; è, invece, il riconoscimento generale che noi non siamo ancora in contatto con l’ultima realtà. Per parlare secondo la ben nota similitudine di Platone, noi siamo imprigionati in una caverna, con il dorso voltato alla luce e possiamo solamente osservare le ombre sulla parete.

Al presente il solo compito immediato che stia di fronte alla scienza è di studiare queste ombre, per classificarle e spiegarle nel modo più semplice possibile.

E quel che noi troviamo, nel torrente in piena della sorprendente nuova conoscenza, è che il modo che la spiega più chiaramente, più a pieno e più naturalmente che ogni altro, è la spiegazione in termini matematici. È vero, in un senso un po’ diffe-