Pagina:Jessie White La miseria di Napoli.djvu/196

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182 parte terza.

fanno altri lavori poco faticosi; poi, quando sono stanchi, fanno un’ora di passeggiata in cortili spaziosi ed ariosi; pace metodica, pulizia esemplare, benessere sostanziale regnano dappertutto. Entra nelle celle separate, ove ognuno ha un cortile privato per passeggiare, e così apostrofa un noto delinquente letterato: «O felicissimo scellerato, eccovi qua sequestrato dal mondo e dalle sue cure, padrone del vostro tempo e delle vostre attitudini mentali: ahimè! se io fossi così sequestrato, così chiuso, con carta e inchiostro, nutrito, vestito, non dovendo pagar tasse o aver altre seccature, scriverei un libro che da me, vivendo come vivo in mezzo alle umane disgrazie, il mondo giammai non avrà.»

Parla col Direttore dello Stabilimento, che gli dice non essergli permesso di punire i 1200 soldati del diavolo se non privandoli di una pietanza; doverli governare coll’amore, colla persuasione, colle preghiere; e inveisce contro il suo paese, ridotto ad una «Universale Società Protettrice di oziosi e di ribaldi.»

Quando io leggeva quest’opuscolo ventisei anni sono, mi pareva non scevro di esagerazione il Carlyle, sebbene egli fosse lo scrittore idolatrato dalla gioventù d’allora; ma quando io visitava le prigioni di Napoli, le Case di pena di Sant’Eframo e fino i Bagni di Nisida, mi associava pienamente alle sue critiche e sentiva tutta la forza della sua invettiva.

Oggidì la pena di morte è virtualmente abolita. La società moderna sentesi talmente convinta della sua ingiustizia e della inutilità come esempio, che nei casi più flagranti di delitto, o il Giuri non la ap-