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m’imaginavo estraneo a questa vita,
come se l’eco d’un ignoto mondo
cogliessi in qualche regno del Silenzio.
Ma la voce si fe’ fioca narrando,
il fuso stette, e grato sonno vinse
la dolce Parca piena di leggende.

Ecco che qui riluce una qualità simpatica del Sanfelice: quella di sentire sinceramente la poesia delle vecchie cose, persino delle più umili. Così, quantunque adori l’antichità classica con tutto il suo corteggio di miti e di forme, pure si sofferma volentieri dinanzi a qualche episodio romantico o ingenuo purchè abbia l’aroma della vetustà. Certi soggetti in mano sua pigliano l’aspetto di quei gioielli fragili e preziosi di vecchio stile, un po’ barocco anche, che ricordano le nonne semplici e serene agghindate a festa. Nè l’erudizione e la fantasia inaridiscono il sentimento che serpeggia dappertutto in lagrime e sorrisi, e irrompe sovente in qualche canto d’amore indomito e tempestoso che non di rado termina in uno sconfortante abbandono. Le traduzioni dal vecchio inglese, poi, sono pregevolissime; specialmente quella dei difficili sonetti dello Shakespeare fatta con una fedeltà elegante quanto rara. C’è da augurarsi presto quella in prosa delle opere dello Shelley che il Sanfelice ci promette.

Ma sopratutto auguriamoci un secondo stuolo di Gru che, come queste, ci portino nelle loro piume un riflesso della dolce plaga dell’arte e dei sogni.