Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/114

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pieno di dolcezza, una vita feconda e operosa. Oh l’attraente visione! Non più tempo per le emicranie, per le nevrosi logoranti, per le fantasticherie velenose, per i languori cattivi, per gli ozî insidiosi. Mai più annoiarsi, mai più! Poi la gentile alterezza di bastare a noi stesse, e l’affrancamento da ogni schiavitù: quella di un’ipocrita galanteria che ci confina fra i gingilli fragili e inutili, o l’altra meno umiliante ma più triste che condanna la donna a girare intorno allo stretto circolo delle attribuzioni domestiche, con gli occhi bendati, senza tregua, per tutta la vita; come i cavalli che una volta facevano andar le macine dei tintori....

Ed ora un raggio anche per voi, signorine. Immaginate voi che paradiso sarà il mondo quando verrà abbattuto quel famoso «Dio dell’or» che miete tante speranze e inaridisce tanti cuori? che appare sempre, o quasi, livido, inesorabile spettro fra il gioioso festino della vostra giovinezza? Pensate un po’ che ebbrezza volare all’anima gemella sbarazzate e libere per sempre da tutte quelle brutte miserie di doti, di notai, di patrimoni, di assegni, che offuscano lo splendore delle vostre aluccie di farfalle! Sarà un tripudio di gioventù, di bellezza, d’amore!

Ma, ahimè, questo è l’ultimo sogno — un sogno d’alba! — bisogna destarsi e lasciare il baldo e pacifico popolo evocato da Edoardo Bellamy. Avesse egli la potenza del mago Merlino e noi i meriti di Bradamante per poter assistere con convinzione alla sfilata di questi nostri discendenti futuri! Ci sarebbe proprio da consolarsi.