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un mondo. Da noi, ma non sempre, i meridionali: Verga, il D’Annunzio, la Serao.
Ecco ora questa dama gentile riuscirvi perfettamente. La sua Ultima primavera è una primavera fiorentina che tutti respirano e vivono. Ma la primavera più fragrante, quasi gravosa per dolcezza, la vediamo schiudersi nel cuore della protagonista, la contessa Elisa, una figurina che ha una vaga aria di famiglia con le più delicate figure di Bourget.
La trama del racconto è, credo, oramai nota e semplicissima. Un’amica di provincia raccomanda alla contessa il suo unico adorato figliuolo ed essa nell’iniziarlo agli usi della società in cui vive, nell’occuparsi del suo benessere morale, nel plasmarne la personalità, se ne innamora appassionatamente. Ma fra Elisa e Roberto ci sono sedici anni di differenza, e questa donna elevata dalla vita un po’ solitaria e tutta intellettuale in cui si era compiaciuta, crede di non aver diritto di avvincere a sè quella giovinezza per sempre, e vi rinunzia. Se non che, non avendo per sostegno alcun dovere nella rude lotta, l’amore dilaga e trionfa proprio quando Roberto, che ignora lo sottigliezze spirituali, punto dal rifiuto di lei che credeva non potesse riguardarlo che come un ragazzo troppo inferiore, s’è gettato nelle reti di una vecchia sirena sempre tesa a raccoglier vittime nuove. Così muore l’ultima primavera.
L’analisi di quest’amore triste e supremo, dai primordi in cui non è che tenera sollecitudine quasi materna, alla fine in cui prorompe con tutta la violenza possente di un sentimento ancora non provato, è miniata insuperabilmente per finezza, per misura, per divinazione. V’hanno dei momenti in cui,