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94 viaggio al centro della terra


XXI.

La domane, la partenza ebbe luogo di buon mattino. Bisognava affrettarsi, poichè eravamo a cinque giorni di strada dal bivio.

Non insisterò sulle sofferenze del nostro ritorno. Mio zio le sopportò colla collera di un uomo che non si sente il più forte; Hans, colla rassegnazione della sua natura pacifica; io, lo confesso, gemendo e disperandomi; il cuore mi veniva meno contro la cattiva fortuna.

Come avevo preveduto, l’acqua ci mancò affatto alla fine del primo giorno di cammino; la nostra provvista liquida si ridusse allora al ginepro, ma quest’infernale liquore bruciava la gola ed io non poteva neppur sopportarne la vista. La temperatura mi pareva soffocante.

La fatica mi paralizzava. Più volte fui ad un pelo di cadere senza movimento. Allora ci arrestavamo, e mio zio e l’Islandese mi confortavano come meglio sapevano. Ma io m’avvedeva che il primo lottava già penosamente contro l’estrema stanchezza e le torture prodotte dalla privazione di acqua.

Alla fine, il martedì 8 luglio, trascinandoci carponi, arrivammo più morti che vivi al punto di congiunzione delle due gallerie. Quivi io rimasi come una massa inerte, steso sul suolo di lava. Erano le dieci del mattino.

Hans e mio zio, addossati alla parete, cercarono di rosicchiare qualche pezzo di biscotto. Lunghi gemiti sfuggivano dalle mie labbra tumefatte. Caddi in un profondo assopimento.

Dopo qualche tempo, mio zio mi si accostò e mi sollevò fra le sue braccia:

«Povero ragazzo!» mormorò egli con sincero accento di pietà.

Io fui commosso a tali parole, non essendo abituato alle tenerezze del fiero professore. Strinsi le sue mani frementi nelle mie, ed egli lasciò fare guardandomi cogli occhi inumiditi.

Lo vidi allora prendere la fiaschetta che aveva al fianco. Con mio grande stupore, egli l’accostò alle mie labbra: