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viaggio al centro della terra 105

sultare con gran cura la bussola per rendersi conto della via percorsa.

La galleria si cacciava quasi orizzontalmente con due pollici di pendio al più ogni tesa; il ruscello scorreva senza precipitazione mormorando sotto i nostri piedi, ed io lo paragonava ad un genio famigliare che ci guidasse attraverso la terra, ed accarezzavo colla mano la tiepida najade, i cui canti accompagnavano i nostri passi. Il mio buon umore prendeva volentieri una tinta mitologica.

Quanto a mio zio, egli infuriava contro l’orizzontalità della strada; egli, l’uomo delle linee verticali. Il cammino si allungava indefinitamente, e invece di strisciare lungo il raggio terrestre, secondo la sua espressione, si andava per l’ipotenusa. Ma non c’era lasciata la scelta, e fino a tanto che si guadagnava qualche cosa verso il centro, per poco ch’ei fosse, non bisognava lamentarsi.

D’altra parte, ogni tanto i pendii si abbassavano; la najade capitombolava muggendo, e noi discendevamo con essa più profondamente. Ma infine, tutto quel dì e la domane facemmo molta strada orizzontale, e, relativamente, poca in linea verticale.

La sera del venerdì 10 luglio, a calcoli fatti, dovevamo trovarci a trenta leghe al sud-est di Reykjawick e alla profondità di due leghe e mezzo.

Allora si spalancò sotto i nostri piedi un pozzo spaventevole; mio zio non potè trattenersi dal batter le mani, calcolando la rapidità delle sue chine.

«Ecco una strada che condurrà lontano! esclamò; e facilmente, poichè le sporgenze della roccia formano una vera scalinata.»

Hans dispose le corde per modo da prevenire ogni accidente, e la discesa incominciò. Non oso dirla pericolosa, poichè m’ero di già fatto famigliare a tal genere d’esercizio.

Quel pozzo, era una fessura stretta, aperta nella massa. L’aveva evidentemente prodotta la contrazione della scorza terrestre all’epoca del suo raffreddamento; e se servì altre volte di passaggio alle materie eruttive vomitate dallo Sneffels, io non sapeva darmi ragione del come queste non vi avessero lasciato alcuna traccia.

Discendevamo una specie di vite girante che si sarebbe creduta opera della mano dell’uomo.