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viaggio al centro della terra 147


— Così credo.»

Hans ridiscende, poi dirige il braccio verso il sud dicendo:

«Der nere!

— Laggiù?» risponde mio zio.

E prendendo il cannocchiale guarda attentamente durante un minuto che mi pare un secolo.

— Sì, sì! esclama.

— Che cosa vedete?

— Uno sprazzo immenso che si eleva sopra i flutti.

— Qualche altro animale marino?

— Può darsi.

— Allora, dirigiamoci più verso l’ovest, poichè sappiamo a quali pericoli esponga l’incontro di siffatti mostri antidiluviani.

— Lasciamo andare,» risponde mio zio.

Mi volto verso Hans, ma costui mantiene la sua barra con inflessibile rigore.

Peraltro, se dalla distanza che ci separa da quell’animale, distanza non certo minore di dodici leghe, si può vedere la colonna d’acqua spinta in alto da’ suoi sfiatatoi, ei dev’essere d’una statura soprannaturale. Fuggire non sarebbe se non conformarsi alle leggi della più volgare prudenza. Ma non siamo già venuti qui per essere prudenti.

Si va dunque innanzi, e più ci accostiamo più lo sprazzo ingrandisce. Quel mostro può riempirsi di cotal quantità d’acqua ed espellerla così senza interruzione?

Alle otto pomeridiane non siamo più distanti che dieci leghe. Il suo corpo nerastro, enorme, montuoso, si stende nel mare come un’isola; è illusione, è spavento? La sua lunghezza parmi che sorpassi le mille tese; qual’è adunque questo cetaceo non preveduto da Cuvier, nè da Blumembach? Se ne sta immobile e come addormentato. Il mare sembra non possa sollevarlo e sono al contrario i flutti che ondeggiano ai suoi fianchi. La colonna d’acqua spinta ad un’altezza di cinquecento piedi, ricade in pioggia con un rumore assordante. Noi corriamo pazzamente incontro alla massa poderosa che cento balene al giorno non basterebbero a nutrire.

Il terrore m’invade. Non voglio andar più oltre! Taglierò se fa duopo, la drizza della vela! Mi rivolto contro il professore il quale non mi risponde.

Di repente Hans si alza, ed additando il punto minaccioso: