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viaggio al centro della terra 39


«Guarda, mi diss’egli, guarda attento; convien prendere lezioni d’abisso!»

Dovetti aprire gli occhi. Vidi le case schiacciate come per una caduta in mezzo alla nebbia del fumo; sopra il mio capo correvano nuvole scapigliate e per un contrasto d’ottica mi sembravano immobili, mentre il campanile, la palla ed io eravamo trascinati con fantastica velocità. In lontananza si stendeva da una parte la campagna verdeggiante, dall’altra il mare scintillava ai raggi del sole. Il Sund si svolgeva fino alla punta di Elseneur, con alcune vele bianche, vere ali di gabbiano, e nella bruma dell’est ondeggiavano le coste a mala pena sfumate della Svezia. Tutta questa immensità turbinava innanzi ai miei sguardi.

Nondimeno mi toccò alzarmi, tenermi ritto e guardare, La mia prima lezione di vertigine durò un’ora e quando finalmente mi fu permesso di ridiscendere e di premere col piede il solido pavimento delle vie, io era tutto indolenzito.

«Ricomincieremo domani,» disse il mio professore.

Ed infatti, durante cinque giorni ricominciai questo esercizio vertiginoso, e, per amore o per forza, feci progressi rapidissimi nell’arte delle alte contemplazioni.


IX.

Venne il dì della partenza. Alla vigilia il compiacente signor Thomson ci aveva dato lettere di raccomandazioni per il signor Trampe, governatore dell’Islanda; per il signor Pictursson, coadiutore del vescovo, per il signor Finsen, podestà di Reykjawik. In ricambio, mio zio gli largheggiò caldissime strette di mano.

Il 2, alle sei del mattino, i nostri preziosi bagagli si trovavano a bordo della Valkyrie; il capitano ci condusse ai nostri camerini, che erano abbastanza stretti.

«Abbiamo buon vento? domandò mio zio.

— Eccellente, rispose il capitano Bjarne; vento di sud-est, usciremo dal Sund con tutte le vele spiegate.»

Da lì a pochi istanti, la goletta spiegò la vela di trinchetto, la brigantina, la vela di gabbia e quella di perrocchetto, e si cacciò nello stretto. Un’ora dopo la ca-