Pagina:Jules Verne - Viaggio al centro della Terra, Milano, Treves, 1874.djvu/46

Da Wikisource.
38 viaggio al centro della terra


Tuttavia se mio zio non ebbe sguardi per questi luoghi incantevoli, egli fu vivamente impressionato alla vista d’un certo campanile posto nell’isola Amak, che forma il quartiere sud-ovest di Copenaghen.

Ebbi ordine di rivolgere i nostri passi da questo lato, salii in una piccola imbarcazione a vapore che faceva il servizio dei canali, e, in pochi istanti, fummo sulla ripa di Dock-Yard.

Dopo aver attraversato alcune strette vie dove alcuni galeotti, vestiti di calzoni mezzati di giallo e di grigio, lavoravano sotto il bastone degli aguzzini, giungemmo innanzi a Vor-Frelsers-Kirk. Questa chiesa non aveva nulla di notevole. Ma ecco perchè il suo campanile abbastanza alto avea attirato l’attenzione del professore: incominciando dalla piattaforma, una scalinata esteriore girava intorno alla sua guglia e le spirali si svolgevano in pieno cielo.

«Saliamo, disse mio zio.

— Ma la vertigine? domandai.

— Ragione di più, bisogna abituarvisi.

— Pure...

— Vieni, ti dico, non perdiamo tempo.»

Fu d’uopo obbedire; un guardiano che abitava lì presso ci diede una chiave e l’ascensione incominciò. Mio zio mi precedeva a passi svelti; io lo seguiva non senza terrore, poichè la testa mi andava in giro con deplorabile facilità. Io non aveva nè la sicurezza delle aquile, nè l’insensibilità dei loro nervi.

Finchè fummo imprigionati nella vite interna tutto andò a meraviglia; ma dopo cinquanta gradini, l’aria venne a battermi sul viso; eravamo giunti alla piattaforma del campanile. Quivi incominciava la scalinata aerea mal difesa da una fragile ringhiera i cui gradini sempre più, stretti sembravano salire verso l’infinito.

«Io non potrò mai! esclamai.

— Saresti tu poltrone, per caso? Sali!» rispose spietatamente il professore.

Mi fu forza seguirlo aggrappandomi; l’aria mi stordiva; sentivo il campanile oscillare ai soffi impetuosi del vento; le mie gambe venivano meno; nè andò molto che mi arrampicai colle ginocchia, poi strisciando col ventre; chiusi gli occhi, provavo il male dello spazio.

Bisognò che mio zio mi tirasse per il collare, perchè arrivassi presso la palla.