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viaggio al centro della terra 59

barca bassa e fragilissima. Abituato com’ero ai traghetti a vapore dell’Elba, trovai i remi dei navichieri un assai meschino congegno meccanico; ci abbisognò più d’un’ora per attraversare il fiörd; ma infine il passaggio avvenne senza accidente.

Mezz’ora dopo, noi avevamo toccato l’aoalkirkja di Gardär.


XIII.

Avrebbe dovuto farsi notte, ma sotto il sessantacinquesimo parallelo, il chiarore diurno delle regioni polari non doveva meravigliarmi; in Islanda, durante i mesi di giugno e di luglio, il sole non tramonta mai.

Nondimeno la temperatura si era abbassata; avevo freddo, e sopratutto fame. Benvenuto fu il boër che ci aprì ospitalmente le porte per riceverci.

Era la casa d’un contadino, ma in fatto d’ospitalità valeva quella d’un re. Al nostro arrivo il padrone venne a tenderci la mano e senz’altre cerimonie ci fe’ segno di seguirlo.

Seguirlo, diffatti, poichè accompagnarlo sarebbe stato impossibile. Un passaggio lungo, stretto, oscuro, dava accesso a quest’abitazione fabbricata con travi a mala pena squadrati, e permetteva d’arrivare a ciascuna delle camere; le quali erano quattro: la cucina, l’officina di tessitura, la badstofa, camera da letto della famiglia, e, migliore d’ogni altra, la camera dei forestieri. Nel fabbricare la casa non si aveva evidentemente pensato a mio zio, il quale non mancò di dar tre o quattro volte del capo contro gli sporti del soffitto.

Fummo introdotti nella nostra camera, specie di ampia sala con un pavimento di terra battuta, e rischiarata da una finestra i cui vetri erano fatti di membrane di montone assai poco trasparenti. Il letto si componeva di fieno secco, gettato entro due telai di legno dipinti di rosso e adorni di sentenze islandesi.

Io non m’aspettava tutti questi comodi; solo il mio olfato era offeso da un odore di pesce secco, di carne macerata e di latte inacidito che regnava in tutta la casa. Come avemmo messo in disparte tutte le nostre