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22 prefazione alla seconda edizione

assumiamo come il mutato metodo nel modo di pensare, ed è: che noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi vi mettiamo1.

Questo tentativo è riuscito conforme al desiderio, e promette alla metafisica, nella sua prima parte, dove ella si occupa dei concetti a priori, di cui possono esser dati nell’esperienza gli oggetti corrispondenti ad essi adeguati, il cammino sicuro di una scienza. Si può infatti spiegare benissimo, secondo questo mutamento di metodo, la possibilità di una conoscenza a priori, e, ciò che è più, munire delle prove sufficienti le leggi che a priori sono a fondamento della natura, come complesso degli oggetti dell’esperienza; due cose che, col metodo fin oggi seguito erano impossibili. Ma da questa deduzione della nostra facoltà di conoscere a priori, nella prima parte della metafisica, ne viene uno strano risultato, in apparenza assai dannoso allo scopo generale cui essa mira nella seconda parte, cioè: che noi con essa non possiamo oltrepassare i limiti della esperienza possibile, che è tuttavia proprio l’assunto più essenziale di questa scienza. Per altro, l’esperimento d’una controprova alla verità del risultato di questo primo apprezzamento della nostra conoscenza a priori della ragione, sta in ciò, che essa giunge solo fino ai fenomeni; laddove lascia che la cosa in sè sia bensì per se stessa reale, ma



  1. Questo metodo, imitato dal fisico, consiste, dunque, in ciò: ricercare gli elementi della ragion pura in quello che si può confermare o contraddire per mezzo di un esperimento. Ora, non v’è esperienza possibile (come c’è in fisica), che permetta di verificare, quanto ai loro oggetti, le proposizioni della ragion pura, soprattutto quando queste si avventurano di là dai limiti di ogni esperienza possibile; non si potrà dunque far verifica se non con concetti e principii, che noi ammettiamo a priori, prendendoli in tal maniera, che questi medesimi oggetti possano essere considerati, da un lato come oggetti del senso, dall’altro come oggetti che soltanto si pensa, tutt’al più per la ragione isolata, e sforzantesi di elevarsi al di sopra dei limiti dell’esperienza; e perciò da due diversi punti di vista. Ora, se si trova che, considerando le cose da questo duplice punto di vista, ha luogo l’accordo col principio della ragion pura, e che, considerandoli da un solo punto di vista, la ragione viene necessariamente in conflitto con se stessa, allora l’esperimento decide per la esattezza di tal distinzione. (N. di K.)