Pagina:Kant - Critica della ragion pura, vol. I, 1949, trad. Gentile-Lombardo.djvu/53

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prefazione alla seconda edizione 31

gran maggioranza degli uomini (per noi degnissima di stima); e a limitarsi quindi unicamente per la cultura e trattare quelle prove che sono alla portata di tutti e sufficienti dal punto di vista morale. Questa riforma dunque colpisce soltanto le arroganti pretese delle scuole, che in questo punto (come spesso a ragione in parecchi altri) si vantano volentieri d’esser sole capaci di conoscere e di custodire la verità; delle quali alla folla lasciano solo l’uso, ma delle quali serbano gelosamente la chiave (quod mecum nescit, solus vult scire videri)1. Nondimeno io ho avuto cura di alcune pretese più legittime del filosofo speculativo. Egli rimane sempre il depositario esclusivo di una scienza, che è utile al pubblico senza che questo lo sappia; voglio dire della critica della ragione. Essa non può, infatti, diventar mai popolare, ma nemmeno è necessario che sia tale; giacchè, se al popolo i sottili argomenti, filati in sussidio delle verità utili, entrano poco in testa, tanto meno gli vengono in mente le obbiezioni, altrettanto sottili, in contrario; d’altra parte, poichè la scuola, come ogni uomo che s’innalzi alla speculazione, casca inevitabilmente nell’una cosa e nell’altra, la critica è tenuta a prevenire una volta per sempre, mediante l’esame profondo dei diritti della ragione speculativa, lo scandalo che presto o tardi deve provenire anche al popolo dalle dispute, nelle quali si avventurano i metafisici (e, in quanto tali, infine anche molti dei teologi), non infrenati dalla critica, e che finiscono per falsare le loro dottrine. Soltanto dalla critica possono esser tagliati alla radice il materialismo, il fatalismo, l’ateismo, l’incredulità dei liberi pensatori, il fanatismo, la superstizione, che possono diventare perniciosi a tutti, e infine anche l’idealismo e lo scetticismo, che sono dannosi più specialmente alle scuole, e difficilmente possono passare nel pubblico. Se i governi trovano conveniente mescolarsi nelle faccende dei dotti, sarebbe più conveniente alla loro savia sollecitudine



  1. Orazio, Epist., II, i, 87: Quod mecum ignorat, ecc.