Pagina:Kulmann - Saggi poetici.djvu/42

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diciassettesimo anno, appunto onde non perdesse mai la sua angelica forma.

Elisabetta giudicava delle cose con una sorprendente sagacità. Il suo colpo d’occhio, la prontezza e la varietà con che sviluppava le proprie idee, erano un carattere distintivo del suo ingegno sempre lucido, e posto a tale altezza donde un vastissimo orizzonte si schiudeva dinanzi a lei. Abbiamo sempre avuto a riconfermare ciò che veniamo di asserire in tutto lo sviluppamento delle sue facoltà intellettuali. Dotata dalla natura d’uno squisito sentimento del bello, ella seppe perfezionarlo collo studio assiduo de’ classici di quasi tutte le nazioni che sono giunte ad un alto grado di civiltà. Quantunque ella godesse di imitare lo stile dei Greci, pure ne suoi giudizi non si lasciò mai dominare dallo spirito delle scuole classica e romantica. L’ascoltavi rendere piena giustizia al merito de’ tragici francesi, Corneille e Racine, ma l’autore che a tutti preferiva in quel genere era Schiller. A parer suo fra le tragedie di Corneille, Polyeucte era la prima, e il Cid la seconda. Alcune persone le fecero osservare, che convenia pur dare la preferenza agli Orazj e a Cinna. «Certo,» ella rispose, «quelle tragedie sono più animate, vi trovi più sublimità e maggior arte, ma le prime parlano più al cuore.» Delle composizioni di Schiller, quelle che preferiva erano Giovanna d’Arco e Guglielmo Tell. Stimava come capolavoro di Goethe il suo Egmonte, e giudicava esser il più debole di tutti, Clavigo. Non affezionava la commedia in generale, ed il solo autore che leggesse con piacere si era Molière. Pare che non conoscesse Shakspeare: almeno non trovi alcun indizio che se ne occupasse particolarmente: stimava immensamente Milton. Nelle ore di riposo, leggeva con grande diletto le descrizioni dei viaggi: vi attingeva con avidità le nozioni interessanti de’ costumi e degli usi del popoli, e di questi spesso s’intratteneva con quelli che la avvicinavano.

Trovasi nell’indole di Elisabetta una qualità che possiede chiunque è destinato a compiere quaggiù grandi cose, voglio dire, la perseveranza negli sforzi per ottenere l’adempimento dello scopo che si