Pagina:L'Utopia e La città del Sole.djvu/85

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libro secondo. 61

lettere, perch’io credo che derivassero dai Greci; quandochè nella loro favella, che è persiana. sono molto parole greche, specialmente nel nominare le città ed i magistrati. Io la quarta fiata che navigai alla volta loro, mi posi nella nave buon numero di libri in luogo di mercanzie; avendo meco disposto di non tornar mai, piuttosto che tornar presto. Così lasciai a quelli molte opere di Platone e di Aristotile, e Teofrasto delle piante, ma troncato in più luoghi. Perchè essendo tenuto con poca cura nella nave, una scimia nè cavò fuori alquante carte, e stracciatele giuocando, le avea sparse qua e là. Hanno in grammatica Costantino Lascari; non avea portato meco Teodoro Gaza, nè altro dizionario che Esichio e Dioscoride. Tengono carissimi i libretti di Plutarco, e si dilettano delle piacevolezze di Luciano. Dei poeti hanno Aristofane, Omero, Euripide e Sofocle in forma piccola di Aldo. Degli storici, Tucidide, Erodoto ed Erodiano. In medicina, Tricio Arpino mio compagno, avea portato alcune opere d’Ippocrate, e il Microtecne di Galeno, i quai libri tengono in gran pregio. E quantunque meno sono bisognosi della medicina che qualunque altra nazione, tuttavia è presso di loro onorata più che in altro paese, perchè l’annoverano tra le parti principali ed utilissime della filosofia: ed investigando le cose di natura con l’aiuto di questa, si danno a credere non solamente di prendere gran diletto, ma eziandio di aggradirsi sommamente all’autore e artefice di quella. Pensando ch’egli, come fanno gli altri artefici, abbia posto innanzi agli occhi dell’uomo, il qual solo ha fatto di tal cognizione capace questa macchina, acciocchè la consideri: e che più gli sia caro l’uomo, che considera con ammirazione le degnissime opere sue, che colui, il quale, come animale senza intelletto e stupido, non si cura di contemplare questo mirabile spettacolo. Così gl’indegni degli Utopiensi nelle lettere esercitati vagliono mirabilmente a trovare le arti utili ai comodi della vita. Ma sono a noi debitori di due, cioè d’imprimere libri o faro la carta bamba-