Pagina:L'asino d'oro.djvu/20

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tello, il quale quasi tutte le cose, ch’oggi si sono impresse di lui, amorevolmente ha pubblicato; procurando in ciò con tutti i mezzi, come bene è suo ufficio, la fama e la gloria di messer Agnolo suo: e fra le molte leggiadre scritture che di lui si sono avute, una ve n’è stata, la quale dal medesimo autore fu sempre giudiziosamente molto stimata e tenuta cara. E di vero, non l’ingannava in ciò punto l’affezione delle cose proprie, chè per quello ancora che ne giudicano tutti gli altri uomini intendenti, fu la più bella e la più diligente fatica ch’egli facesse giammai. Questa è adunque la presente traduzione d’Apuleio, da lui fatta con quei debiti modi che convengono a simili imprese; cioè, benissimo intesa, e propriamente trasportata co’ veri e puri e significanti vocaboli nella lingua nostra, colle figure del dire, e in somma con tutto ciò ch’a lui si richiedeva, per acquistarne onore, e per soddisfarne altrui. E ben mostrò egli d’averla approvata, poichè, quello che in nessuno altro suo componimento non avea più fatto, volse nel principio di questa sua fatica fare brevemente memoria della vita sua, la quale fu sempre virtuosa e onorata, benchè poco lieta, e infelice. Vero è, che in questa traduzione s’è trovato mancare alcune carte in diversi luoghi, nè si sa per cui difetto: le quali dallo eccellente e mio molto virtuoso e carissimo amico messer Lodovico Domenichi vi sono state supplite, per la grande affezione che la virtù sua porta al valor di lui: dove s’è talmente adoperato, che avendo egli molta pratica delle cose del Firenzuola, l’ha così bene imitato, che lo stile dell’uno non è punto differente dall’altro: nella qual cosa grande obbligo veramente gli avrebbe l’anima di messer Agnolo, se lassù pervenisse notizia delle cose che quaggiù si fanno. Dovendosi dunque pubblicare colle stampe questa traduzione, e cercando io, che vivendo