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128 l’edera


Ella entrò nella camera, ma non accese il lume. Un crepuscolo torbido penetrava dalla finestra, descrivendo un cerchio di luce grigiastra che arrivava appena ai piedi del lettuccio di zio Zua: ma di tanto in tanto il bagliore dei lampi illuminava la camera, e allora pareva che la figura del vecchio balzasse dall’ombra, e poi ripiombasse di nuovo in un luogo di tenebre e di mistero.

Annesa guardò a lungo l’infermo, con occhi allucinati: le pareva che egli fosse già morto ma urlasse e imprecasse ancora. E da quel momento ella fu assalita da una specie di ossessione: avvicinarsi al vecchio e strangolarlo, farlo tacere finalmente, ripiombarlo per sempre nell’abisso d’ombra dal quale egli usciva ogni tanto urlando.

Ferma sull’uscio di cucina ella stese alquanto le braccia, contraendo le dita: un gemito le uscì dalla bocca. Allora il vecchio credette che ella avesse paura del temporale e abbassò la voce.

— Annesa, — supplicò, — ma accendilo questo lume! Vedi che anche tu hai paura! Vedi come mi hanno lasciato solo... Chissà dove saranno! Anche Rosa è fuori: si bagneranno tutti...

Ella ritornò in cucina e accese il lume: ricordò che Paulu aveva preso con sè il cappotto, e il pensiero che egli potesse coprirsi la confortò. Allora sospirò, con un senso di sollievo simile a quello che provano i bambini quando sentono che l’eroe della fiaba, sorpreso dall’uragano, ha trovato una casetta nel bosco. E rientrò col lume nella camera del vecchio.