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l’edera 153


— E anche domani, — mormorò Annesa, che sapeva quanto valevano le promesse di Paulu, non esclusa quella di cercarsi un impiego e di mettersi a lavorare.

— Ah, tu non credi! — egli protestò, — ma vedrai, vedrai: da domani io voglio essere un altro.

— Domani, — ella pensò, — che accadrà domani?

Paulu la sentì rabbrividire e la pregò di andarsene a letto: ma ella insisteva.

— Ti porto da bere: vado e torno. Aspetta, anch’io devo dirti una cosa.

— Dimmela ora. Ti ripeto che non voglio più bere! Ah, tu non credi che io possa tenere una promessa? Non sono più un fanciullo: in questi ultimi giorni ho pensato ai casi miei, e ho deciso di finirla con tutte le sciocchezze.

— Anche con me... allora...

— Sì, anche con te, — egli disse con voce grave. Senti, Annesa, desideravo parlar prima con mia madre, per domandarle consiglio, ma siccome sento che ella non potrà che consigliarmi di fare il mio dovere... ti dirò... Ebbene, sì, tu devi averlo capito...

— Io? Non capisco, — ella mormorò, sollevando gli occhi che aveva tenuti sempre chini, quasi il sonno la vincesse.

— Tu non capisci? Io voglio sposarti, Annesa. Ti porterò via con me, andremo nelle miniere: nessuno si metterà più fra noi...

Egli non disse, forse perchè non lo confessava neppure a sè stesso, che un po’ di calcolo entrava in questa sua decisione. Aveva bisogno di compa-