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l’edera 155

diverte mostruosamente a tormentarci, vibrò nel pianto di lei.

Paulu era avvezzo a veder piangere la sua poco allegra amica: qualche volta si commoveva anche lui, qualche volta s’irritava: ora, non potendo spiegarsi in altro modo l’eccitazione di lei, l’attribuì alla gioja, alla speranza, alla passione che ella doveva provare in quel momento. Ma quando era allegro, egli amava la gente allegra.

— Annesa, — disse, — finiscila: lo sai, non mi piace vederti piangere. Abbiamo pianto abbastanza; è tempo di finirla ora. Su, dimmi qualche cosa, prima di separarci, poichè veramente non hai aperto bocca che per dirmi qualche brutta parola. Quando vuoi, però, sai parlare bene: dimmi una buona parola, e poi andiamocene a dormire. Oggi è stata una giornata ben lunga e faticosa; ora tutto è finito, però. Perchè continui, ragazza! Credi pure, oramai tutto è finito; arriva un momento di riposo per tutti.

Ella piangeva, col volto nascosto sul petto di lui. Avrebbe voluto morire così, sciogliersi in lagrime, addormentarsi per sempre. Una stanchezza mortale le pesava sulle spalle, le piegava la testa: ogni parola di Paulu la colpiva, le riusciva dolce e tormentosa nello stesso tempo.

Egli continuò a parlare, ripetendo sempre le stesse cose: poi cercò di staccarsi da lei, ma non potè.

Ella aveva una terribile paura che egli, passando per la camera, si accorgesse del delitto: e