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Pagina:L'edera (romanzo).djvu/214

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212 l’edera

la verità tuo malgrado, perchè questa è la sua arte: te la strapperà di bocca come un dente cariato, e tu neppure te ne accorgerai. Al confessore ricorrerai da te, quando vorrai. Io qui sono soltanto un uomo: un uomo che ama i suoi simili e vorrebbe aiutarli. Se tu vedi un povero vecchio caduto per terra vuoi sollevarlo, vero? Se non lo faresti ti parrebbe d’essere non una creatura umana, ma una bestia senza ragione. Basta, lasciamo le prediche. Volevo dirti soltanto che voglio aiutare i tuoi benefattori a sollevarsi dalla loro caduta: e tu devi aiutarmi.

— So tutto questo; e sono pronta. Che devo fare? Non ho finora seguito i consigli degli amici dei miei benefattori? Mi hanno detto di nascondermi e mi son nascosta: mi han detto di tacere e l’ho fatto.

— Ebbene, ora parlerai. Dirai la verità. Null’altro.

— L’ho detta... l’ho detta... — ella insistè.

Allora egli abbassò la voce e disse:

— No, Annesa, tu non l’hai detta. Io però la so, e la so prima di te, da lunghi e lunghi anni, e l’ho veduta crescere assieme con te, ed è una verità spaventosa; è come un serpente, che è cresciuto con te, che si è avviticchiato a te, al tuo corpo, alle tue braccia, al tuo collo... e forma con te una stessa cosa. Donna e serpente... Una stessa cosa che si chiama Annesa.

— Prete Virdis, — ella disse, spalancando gli occhi, e alzando la voce, tra offesa e spaventata, non parli così! Che ho fatto, io?