Vai al contenuto

Pagina:L'edera (romanzo).djvu/215

Da Wikisource.

l’edera 213


— Che hai fatto? Tu lo sai, senza che io te lo dica. Sai appunto la storia del serpente, che morsicò e avvelenò l’uomo che l’aveva raccolto nel suo seno. Basta, ripeto, non voglio far prediche: una sola cosa ti dico: Paulu è corso a rifugiarsi da me, quando qualcuno lo avvertì del pericolo. Io lo accolsi come zio Castigu accolse te. Nell’ora del dolore m’ha detto tutto.

— Ebbene, che può averle detto? Che ci siamo amati. Ma non sono stata sempre al mio posto, io? Che ho fatto di male?

— Ecco il serpente che parla! Che hai fatto di male? Hai peccato, null’altro! Ti par poco?

— Ebbene, sia pure: ho peccato. Ma il male l’ho fatto a me stessa soltanto.

— Ma tu non dovevi farlo a te stessa, il male: a te stessa meno che agli altri. Dio ti ha dato un’anima pura, e tu l’hai insozzata e tu la vuoi ripresentare al Signore come uno straccio lurido. Tu ti sei calpestata, ti sei coperta di fango, ti sei trattata come la tua peggiore nemica.

— È vero... È vero!...

— Questo è il tuo maggiore delitto. Dio ti aveva dato un’anima umana e tu l’hai deformata, a poco a poco, anzi hai fatto peggio ancora, l’hai uccisa l’anima tua, l’hai soffocata, e l’anima tua si è imputridita entro di te come un cadavere in una tomba; e ti ha corrotta e ti ha reso immonda. Sepolcro imbiancato: che di fuori par bello alla gente, e dentro è pieno d’ossa e di putredine...