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l'ombra del passato 171

viso come il suo fazzoletto di lana. Egli provò una sensazione di dolcezza: ricordò lo spavento che lo aveva abbattuto, ma gli parve di aver dormito a lungo, e di aver fatto un sogno. Ora non avrebbe voluto muoversi, ma Tognina gemeva e lo chiamava disperata.

— Adone, caro, su, che hai? T’è venuto male? Su, Adone, su, viscere belle, su! Che hai avuto? Che spavento! Su, bello!

Che dolcezza sentirsi chiamare così! Egli s’alzò, s’appoggiò al letto, si passò le mani sul viso esilile vesti bagnate.

— Ti credevo morta... così, sola, così, al bujo! Che spavento, anch’io!

Tognina lo guardò e ridiventò cupa, e rimettendo la testa sul cuscino ricominciò a gemere ed a piangere. Pareva una bambina.

Adone le passò la mano umida sul viso, e si mise a piangere anche lui. Perchè? Egli non sapeva: ma aveva bisogno di piangere, e ne provava una strana voluttà.

— Taci taci, — disse alfine la donna, asciugandosi le lagrime con la manina fredda del fanciullo. — Taci, taci. Ti sei spaventato, poveretto. Mi vuoi bene dunque? Tanto bene, mi vuoi?

— Sì, sì, zia mia! Tanto bene.

— Non c’è nessuno, giù? Ho chiamato tanto.

— La zia Elena è andata a comperare il burro e la minestrina per te: Carissima faceva la polenta: Fiorello teneva il bimbo: gli altri non sono tornati.