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Pagina:L'ombra del passato.djvu/176

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172 l'ombra del passato


— Senti, Adone, — disse allora Tognina, mettendo la mano sotto il cuscino. — Ora ti do la chiave della cantina: va, prendi una scodella, grande, quella con l’orlo rosso, e riempila di vino. Di’ a Carissima che lo faccia scaldare e ci metta un po’ di zucchero: poi me lo porti, eh? Lo berremo assieme: fa bene per lo spavento. Va: non dare la chiave a nessuno. Hai capito? Levati la giacca bagnata.

Egli andò, stringendo la chiave con ambe le mani. Era la prima volta che la zia gli dava un segno di fiducia. Il cuore gli palpitava di riconoscenza.

Fece tutto da sè, e Fiorello, che teneva fra le braccia il nipotino malato, non poteva credere ai suoi occhi vedendo in mano di Adone la chiave della cantina; quella chiave che la zia affidava solo al Pirloccia, ed anche raramente.

Carissima invece parve rallegrarsi di quest’avvenimento: diede lo zucchero al fanciullo, poi si mise a tagliar col filo la polenta, canterellando. Nonostante i suoi guai ella era sempre allegra.

— Di’ alla zia se vuole una fetta calda calda, — disse, mentre Adone vuotava il vino bollente nella scodella dal filo rosso. — Oh, senti, Adone, se facessimo una cosa, ora che ci hai la chiave! Se prendessimo un salamino?

— Proprio no, veh! — gridò il ragazzo, arrossendo di sdegno. Poi aggiunse: — Se vuoi glielo dico, alla zia.

— No, no, non dir niente, balordo! Va via, va!