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— Non lo vedrò più! — pensava. — Che farò io, solo? Anch’io devo morire. Fra tre giorni posso morire. E anche subito!

L’idea della morte lo perseguitava: ma più che angoscia gli destava meraviglia. Sentiva già il grandioso mistero della morte: e non si domandava perchè si è nati e perchè si deve morire, se la vita è così breve e inutile, ma diceva al zolfanellajo:

— Siamo nati e dobbiamo morire. Lo zio morto, ma lui almeno era vecchio. Marco non era vecchio ed è morto anche lui. Anch’io posso morire da un momento all’altro. Però io non voglio. Farò di tutto per non ammalarmi. Posso mettere il mantello anche d’estate.

— Bravo, veh! Quello è un rimedio! — diceva l’ometto. — Basta un sassolino per farci scivolare e batter la testa da morirne.

— Io guarderò per terra!

— Si muore, si muore lo stesso! — sospirava l’ometto. — Oggi o domani si muore! E tutti, anche! In questo, almeno, il Signore è stato giusto. Muore il re, muore il meschino; tutti facciamo lo stesso cammino.

— Si vivesse bene, almeno! — interveniva la zolfanellaja. — No: si vive male, si muore male, e buona notte!

Per lungo tempo Adone pensò a Marco, solo, freddo e rigido nella sua piccola fossa: quando pioveva egli pensava che il suo povero amico doveva aver freddo, doveva bagnarsi, e rabbrivi-