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l'ombra del passato 345


La barca risaliva il fiume: trovata la corrente vi si abbandonò, ridiscese un tratto, obliquamente, fino alla riva sabbiosa del bosco. Sbarcati, i gitanti cercarono il sentiero che doveva condurre ad un casotto vicino al quale volevano fermarsi per la colazione.

Tutti pretendevano di sapere ove cominciava il sentiero: nessuno riusciva a trovarlo. Finirono con lo sbandarsi. Adone seguiva da lontano Jusfin che dondolando i cestini allargava i rami delle gaggìe per far strada a Maddalena. Ella seguiva l’alta figura dell’ex-cacciatore, e non dimostrava nè piacere, nè noia, nè stanchezza.

Adone, come aveva scritto nella sua novella, non amava il bosco ceduo, il cui suolo molle e sabbioso è coperto d’erbe grasse e di fiori spinosi, e dove pare si stenda sempre un velo di nebbia. Ma quel giorno egli si sentiva vinto dalla poesia della giornata melanconica, e quelle due figure, che apparivano e sparivano davanti a lui fra il grigio ed il verde del bosco, lo attiravano come due figure fantastiche.

Dove si andava? Egli non lo sapeva. Si udivano fischi, voci, colpi d’accetta, al di là delle macchie. In lontananza Davide gridava richiamando i compagni. La figura nera del seminarista apparve e scomparve tra i fusti grigi dei pioppi: Jusfin si fermò, si guardò attorno solennemente, vide Adone e lo attese. L’ex-cacciatore, offeso perchè egli solo conosceva il sentiero e nessuno gli aveva dato retta, meditava un tiro per vendicarsi.