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gere un tutore ai suoi figli minori, ma la sua elezione dovrà essere confermata dal consiglio di famiglia (§ 248).

Se la madre tutrice vorrà rimaritarsi dovrà, prima del matrimonio, far convocare il consiglio di famiglia, il quale deciderà se la tutela debba esserle conservata.

In mancanza di questa convocazione, essa perderà di pien diritto la tutela, ed il suo nuovo marito sarà solidariamente responsabile della tutela esercitata dalla madre per lo passato (!!?), ed in appresso indebitamente conservata (§ 253).

(Mi dispenso dal commentare questo paragrafo, non sentendomi capace di scrutare il profondo abisso della mente del legislatore).

Quando la madre conserva la tutela, o vi sarà stata riammessa, il consiglio di famiglia le darà necessariamente a contutore il secondo marito, il quale diverrà solidariamente responsabile unitamente alla moglie, dell'amministrazione posteriore al matrimonio (§ 254).

Come ognun vede, un padrigno ed una madre rispettivamente alla prole, nel sentimento del legislatore, sono equivalenti.

La legge però, con una tenerezza tutta parziale per la madre, le accorda un diritto che se oltraggia la natura, ed è per la donna una lezione immorale, sente però in compenso una condiscendenza tutta cavalleresca. Coll’art. 252 non vuole che si obblighi la madre ad accettare la tutela dei suoi figli, e s’accontenta che ella ne adempia i doveri fino alla nomina di un tutore.

Del resto poi, in difetto dei genitori o di un tutore esplicitamente eletto colle forme volute, la tutela spetterà all’avo paterno, in difetto di questo all’avo materno, e collo stesso ordine risalendo la linea ascendentale, deve sempre preferirsi al materno il paterno (§ 257).