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Pagina:La Italia - Storia di due anni 1848-1849.djvu/88

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soldati ove mai si attentassero a violenze, a crudeltà, a ladronecci; e lo stemma dell’impero atterrato; la città in una combustione indicibile. Quell’apparato di resistenza impaurava il governo, «le armi si concedettero a’ richiedenti cittadini. Pur, non guarì stette, e le truppe che, altrove capitolando, affluivano nella città, rianimavano il già scorato dispotismo; e il governatore ordinava, con pena di morte, la riconsegna delle armi fornite, imponeva una forte contribuzione di guerra, e intimava fuoco e saccheggio ove gl’imperiosi cenni ubbiditi non fossero. Intanto, un ricco israelita, il Finzi, veniva come statico tratto nel forte. Il vescovo, buono e conciliante vecchio, il quale avea già spinto a sensi moderali la popolazione quando questa intendeva prendere la cittadella d’assalto — e di leggieri sarebbesene impadronita perchè presidiata da pochi tedeschi e da italiani più — muoveva dal governatore per temperare le esigenze sue; gli umili atti invece le accrebbero; imperciocchè, ei richiedeva si sgomberassero bentosto le chiese d’Ognissanti, di San Barnaba, di San Maurizio, la cattedrale e la basilica di Sant’Andrea per darle alloggio a’ croati e agli altri scampati dalle vendette lombarde che colà rintanavansi. Quel pio sacerdote protestò non esservi il bisogno d’insudiciare i sacri templi per albergare i nuovi venuti; la cittadella aver dato comoda stanza a 30,000 soldati ne’ tempi napoleonici; inutilmente non si profanasse la casa del Signore; cui il Gorzkowski rispondeva, cosi voler egli, il Dio di Mantova. In Verona, una immensa moltitudine ragunavasi sotto le finestre del palagio — ove il vice-re Ranieri, fuggito di Milano colla sua famiglia, erasi ricoverato — per festeggiare le larghezze di Vienna e la redenzione d’Italia; vollero armata la città, inalberato il patrio vessillo, e l’ottennero. Che non concede la paura in tai momenti di orgasmo? Ma, la forza imponente degli accorsi austriaci sedava presto que’ moti; e la popolazione, incapace di altro tentare, si ristette da più nobili propositi e si ubbriacò di canzoni e di abbracciamenti, da cui la patria non potea ritrarre alcun bene. In Udine, altri gli animi dei cittadini, poichè le comunicazioni tra l’Austria e la Italia trovavansi interrotte; quivi il popolo trasse alla piazza Contarena e, affollandosi di contro la bottega de’pubblici ristori, proclamò il governo del bastone e delle spie esser caduto; il barone di Meldegg, comandante il presidio — che pochi dì innanzi avea condannato alle verghe alcuni soldati italiani per aver gridato «Viva Pio IX» — venne obbligato per suo scorno a ripetere quel grido e l’altro di v Vivano gl’italiani!». Il comandante di piazza, barone di Maasburg, avverso anch’egli a’ nostri mutamenti, non andava immune da consimili popolaresche vendette. E gli abitanti avrebbero forse trascorso in più gravi eccessi, se parecchi illusi, incliti per prosapia e per senno, non avessero la sera distratto gl’inferociti spiriti con una improvvisata luminaria, con musicali concerti e con processioni di bandiere romane, toscane e piemontesi. L’indomani la città era parata co’ colori nazionali; la guardia civica attivossi; gli studenti del liceo formarono anch’essi un corpo comandato dai lor professori; il terzo dì, i meglio avveduti volevano occupato il corpo di guardia dalle arme cittadine-, l’autorità militare minacciò di resistere, e in quello stato di fermento e di entusiasmo una collisione tra il popolo e gli assoldati di linea