Pagina:La Natura.djvu/209

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libro quarto 209

342Se una pietra, oltre ciò, battiam co ’l dito,
Noi tocchiamo il color, ch’è ne l’estrema
Superficie del sasso; e pure al tatto
345Non sentiamo il color, ma la durezza
Sentiam, che sta ne l’intimo del sasso.
     Or apprendi perchè l’immago appaia
348Oltre lo specchio; chè lontano al certo
[M.]Essa appare là dentro, a par di quelle
Cose che stan di fuori, e cui scorgiamo
351Quando ci s’offre un libero prospetto
A traverso un dischiuso uscio, e n’è dato
Che da casa vediam ciò che sta fuori.
354Chè pur tal visïon da due distinti
Aeri procede: il primo è quel che scernesi
Al di qua de le porte; a destra e a manca
357Seguon poscia le imposte; indi l’esterna
Luce e l’altr’aere i nostri occhi lambisce,
E tutto ciò ch’è fuor ben si discerne.
360Dove a pena così via si distacchi
L’immagin de lo specchio, in quel che move
A le nostre pupille, urta e sospinge
363L’aer che fra sè stesso e gli occhi è posto,
E fa ch’esso vediam pria de lo specchio;
Ma, dove pur lo specchio al senso arrivi,
366Tosto l’effigie, ch’è da noi mandata,
Giunge, e riflessa retrocede agli occhi,
L’altr’aere innanzi a sè spinge e rivolve,

14 — Rapisardi: Lucrezio.