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262 | la natura |
Degno di tanta maestà di cose
3E di tante scoverte ordire un carme?
Chi sarà tanto in favellar possente
Che sappia intesser laudi al merto eguali
6De l’uom, che a noi legò le glorïose
Palme, che co’l suo genio ottenne e vinse?
Nessuno, a creder mio, che di mortale
9Corpo sia fatto. Perocchè, s’è d’uopo,
Come a la chiara maestà si addice,
Di tali cose ragionar, fu un dio,
12Inclito Memmio, un dio fu quei che primo
La vera legge de la vita invenne,
Ch’or sapïenza ha nome, e che da tanti
15Flutti e da così dense ombre l’umana
Vita sagacemente in sì tranquilla
Sede e in luce sì chiara alfin ripose.
18E in ver, confronta le divine, antiche
Invenzïoni altrui. Cerere, è fama,
Ch’a’ mortali insegnò prima le biade,
21Bacco il licore de la vita; e pure
Serbar senza di ciò puossi la vita,
Com’è voce, che ancor viva altra gente;
24Ma ben non si potea viver tranquilli
Senza libero cor; però ne sembra
Che a più forte ragion sia questi un dio,