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la capanna dello zio tom


l’usata indolenza. Il quale porgendo uno spicchio d’arancio ad Evangelina, disse:

— «Ebbene, cugina Vermont, siete pronta, non è vero?»

— «È quasi un’ora ch’io son pronta e vi attendo — rispose miss Ofelia. — V’assicuro che cominciava a stare in ansieta per voi.»

— «La carrozza ci attende, e la folla è finalmente sgombrata, sicchè potremo andarcene in modo decente e cristiano senza urtoni e senza esser pigiati. — Qua, vetturino, prendete tutte queste cose.»

— «Andrò a vegliare che tutto sia collocato sulla carrozza a dovere» disse Ofelia.

— «Oibò! è inutile affatto. Non ve ne date pensiero.»

— «A ogni modo io porterò questo, questo e questo» disse Ofelia, dando di piglio ad un sacco e a tre scatole.

— «Ma, cara cugina, voi volete recar tra noi tutti i costumi delle Montagne Verdi! Bisogna che vi pieghiate un poco ai nostri. Se vi sobbarcate a questo carico, vi avranno per una cameriera. Date ogni cosa a costui: porterà tutto colla stessa precauzione che se fossero uova.»

Miss Ofelia vide con dolore il cugino rapirle tutti i suoi tesori; nè fu tranquilla che quando li rivide sulla carrozza collocati discretamente.

— «Ov’è Tom?» chiese Evangelina.

— «Egli è sulla cassetta, mia cara — rispose Saint-Clare. — Io lo presenterò a tua madre come offerta propiziatoria per quell’ubbriaco che ultimamente fece dar la volta alla carrozza.»

— «Oh! Tom sarà un cocchiere eccellente; io lo so — disse Evangelina. — Egli non si ubbriacherà mai.»

La carrozza si arrestò innanzi a un’antica casa fabbricata secondo quella bizzarra mistura di stile, in parte spagnuolo e in parte francese, di cui durano ancora i saggi qua e là nella Nuova-Orleans.

Era un grande edifizio quadrato, all’uso moresco, nel cui mezzo s’apriva una corte, a cui s’entrava per un’ampia porta ad arco. L’interno della corte era stato evidentemente architettato in guisa da appagare un’imaginazione pittoresca e voluttuosa. Vaste gallerie s’aprivano a’ quattro lati, le quali per gli archi moreschi, per le svelte colonne, pei graziosi ornamenti recavano il pensiero, come in sogno, a quel tempo in cui dominava nella Spagna la fantasia orientale. Nel bel mezzo della corte zampillava in alto una fontana, le cui acque d’argento ricadevano su ampio bacino di candido marmo, e intorno a questo correva un vago orlo di odorose viole. Entro a quel pelaghetto, limpido come cristallo, guizzavano pesci d’oro e d’argento a gran numero, che riempievano le bell’acque di tremole scintille, e rendevano imagine di gemme viventi. Attorno alla fonte girava un sentiero formato di pietre a più colori, connesse in