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Pagina:La capanna dello zio Tom, 1871.djvu/36

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la capanna dello zio tom


una loro sorellina, la quale, come accade mai sempre, tentava alzare il piede, tentennava alcun poco e quindi cadea per terra; e ad ogni caduta que’ ragazzi soleano applaudire schiamazzando come ad una prova di ammirabil destrezza.

Dinanzi al fuoco stava una tavola, le cui gambe zoppicavano alcun poco, direi quasi per reumatismo, coperta di una tovaglia, con isfoggio di piattelli e di tazze ed altre simili bagatelle che annunziavano vicina la cena. Qui siedeva lo zio Tom, l’uomo fidato di Shelby, uomo di cui dobbiamo presentare ai nostri lettori il dagherotipo, perchè protagonista della nostra storia. Alto, robusto della persona, largo di petto, presentava nei lineamenti del volto il vero tipo africano, improntato d’una tal quale gravità, assennatezza, benevolenza che ne costituivano il carattere. Vi trapelava eziandio il sentimento della dignità propria, ispirato dalla coscienza di se medesimo, ma temperato da una schiettezza umile e fidente.

In quel momento stava tutto raccolto a delineare su d’una lavagna, che tenea in mano, alcune lettere dell’alfabeto, ricopiandolo da un esemplare che gli avea dato il piccolo Giorgio, figlio di Shelby, garzone di tredici anni, che parea sentisse in quell’ufficio tutta l’importanza di precettore.

— «Non va così, non va così — disse il giovane, mentre Tom con gran fatica conducea a rovescio la gamba di un g; — non vi accorgete che ne fate un q?» E dato di piglio alla matita, si facea a descrivere, con facilità mirabile, un gran numero di g e di q. Tom, dopo aver guardato con un misto di rispetto e di ammirazione, ripigliava la matita tra le sue dita inesperte, e pazientemente ricominciava.

— «Oh! i bianchi san pur far queste cose con precisione! — esclamò la zia Cloe, sollevando la forchetta con un pezzo di lardo infilzato e guardando con orgoglio il suo padroncino. — Con che prestezza sa leggere e scrivere! E pensare che viene tra noi ogni sera a ripeterci le sue lezioni... è cosa ben importante!»

— «Ma, zia Cloe, muoio di fame — disse Giorgio; — quella vostra stiacciata, nel forno, non è ancora cotta?»

— «A momenti, Giorgio mio padroncino, — riprese la zia Cloe, sollevando il coperchio dalla tegghia e badandovi attentamente; — prende un color bruno magnifico! Lasciate che vi attenda io sola! Ier l’altro la signora Sally volle provarsi a farne una solamente per imparare, diceva ella. Oh, signora, andate via! le diss’io; mi rivoltava fin dalle viscere veder gittata alla malora sì buona roba! La stiacciata si gonfiava tutta da una parte e non avea miglior forma che la mia scarpa. Eh, andate via!»

E con questa finale espressione di spregio per l’ignoranza di Sally, la zia Cloe sollevò il coperchio e lasciò vedere una torta sì ben cotta, che un cuoco di città non l’avrebbe rinnegata per sua. Siccome questa era la pietanza principale, la zia Cloe si diede attorno per farne l’imbandigione.