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la capanna dello zio tom


della notte, negli appartamenti di Legrée; passava per li usci, scomparìa tratto tratto, e ricomparendo, salìa taciturna la scala a chiocciola che mettea nel fatale granaio; e al domattina, si trovavano le porte chiuse a chiave e perfettamente incatenacciate.

Legrée non potea a meno di sentirne a parlare dintorno, tuttochè se ne bisbigliasse sommessamente; anzi la cura stessa che poneano li schiavi perchè egli nulla sapesse, accrescea la paura che ne provava. Si diede a bere più del solito; a tener più alta la testa, a bestemmiare con maggior violenza che per lo innanzi; ma aveva tristi sogni, e le visioni del suo cervello, mentre dormiva, erano tutt’altro che dilettevoli. Nella notte che procedette alla morte di Tom, si portò in una città vicina, e si abbandonò affatto all’ubbriachezza. Tornò a casa affaticato e a notte innoltrala; chiuse la porta, ne tolse la chiave e andò a letto.

Il malvagio può soffocare, quanto vuole, i rimorsi; ma la coscienza è per lui un’ospite inquieta e formidabile. Chi può comprendere i dubbii, le paure che lo assediano? que’ forse, quei brividi repentini, que’ tremori che egli non può vincere, come non può annichilire la propria eternità? Stolto colui che chiude l’uscio per impedirne l’ingresso agli spiriti, ed uno ne porta in se stesso, che egli non osa affrontare da solo — spirito, la cui voce non può essere soffocata, ma risuona come la squilla del giudizio finale.

Ma Legrée chiuse la porta, e vi appuntò contro una sedia; accese una lampada alla testa del letto, ed ivi collocò le sue pistole. Esaminò le imposte, i ferri delle finestre, e disse bestemmiando: — «Ora non mi do pensiero nè di diavolo, nè di angeli» — e andò a dormire.

Si addormentò, perchè era stanco — si addormentò profondamente. Ma sopravvenne, in quel suo riposo, un’ombra, un orrore, un’apprensione, un non so che di pauroso che stava sospeso sopra il suo capo. Credette fosse il lenzuolo di sua madre; ma era Cassy, che lo tenea in mano, che lo scuoteva dinanzi a lui. Gli giunse all’orecchio un suono confuso di grida e di lamenti; e intanto, s’accorgea di dormire, e tentava di svegliarsi. Finalmente svegliossi un poco; ebbe per fermo che qualcuno stava per entrare nella camera; che la porta si aprìa lentamente, ma non avea forza di muovere nè una mano, nè un piede. Finalmente guardò bene; la porta era aperta ed una mano spegnea il lume.

Al raggio di luna, velato, incerto, vide qualche cosa di bianco che dileguava! Sentì il leggiero fruscìo della veste del fantasma; e questo fantasma gli stava immobile accanto al letto: una mano ghiacciale lo toccò; una voce profonda gli mormorò tre volte, in suono spaventevole, «Vieni! vieni! vieni!» E mentre rabbrividiva, sudava, quella cosa, non sapea come, era scomparsa. Balzò dal letto, corse alla porta; la porta era chiusa a chiave e incatenacciata; Legrée cadde a terra.