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libro terzo | 67 |
Di quegli alteri rami alle bell’ombre
365Feansi balli, e palestre, e di soavi
Canti, e di flauti pastoral certame.
Ma come o rio contatto, o morso infetto,
O di grandine offesa impeto fece
Di mezzo al tronco, livida e tumente
370Di tristo umor levò la scorza, e brutta
Cava aperse, di insetti avidi nido;
E sì tosto alle fronde anco si volse
Il rio morbo, che meste ed inclinate
Giaceansi a terra, e il verde onor perdiéno.
375Nè più bella avvivarsi all’incostante
Moto dell’aure, o verdeggiar fu vista
L’indarno amata pianta al mattutino
Raggio, e al cader di queta estiva pioggia.
Florido indarno a lei tornava aprile
380A rivestir de’ suoi parti la terra,
E gli angelletti si stupian vedendo
Mesto e deserto il consueto nido.
Supplici turbe al caro arbor frattanto
Si stringeano dolenti, argomentando
385La causa invan del minacciato danno,
E lagrimando sì pregavan quella
Che mortal ninfa o diva entro la scorza
Si chiudea del bel faggio, onde palese
Ed aperto per lei fosse l’ignoto