Pagina:La desinenza in A.djvu/213

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ecco, al posto d’onore, Sua Beatitudine la bedessa, dal rubicondo faccione e dalle socchiusa palpebre vèdove di sopraciglia, affondata nella propria pinguèdine e nei purpurei cuscini di un seggiolone che a pena la cape, ambo le mani sui due pomati bracciuoli, in dito il topazio, la croce d’oro sul petto, e ritta, al fianco di lei, la verga abaziale dall’uncino in semenza. Attraverso il rameggio dell’inferriata, posta fra il coro e l’altare, baluccica intanto, nel chiarore de’ ceri e ne’ riflessi de’ papi d’argento, l’aurea teletta e la mitra gemmata del Patriarca che ufficia. Sua Eminenza intuona in falsetto, il “Veni Creator” cui le voci flautate e oscillanti delle sorelle rispondono il “mèntes tuòrum” facendo loro bordone dalla chiesa anteriore la poderosa profonda gola dei frati. A nubi, entra l’incenso nel coro; l’òrgano mugge, romba, e completa l’ebbrezza di quelle isolate dal mondo, sulle cui testoline piove a distesa, di là della volta, lo scampanio, e che, lo sguardo nel cielo (il ciel della cupola) già si sentono assunte in una tiepolesca gloria, fra le nuvole a gnocchi e il color polentina, in mezzo agli scorci dei fratacchiotti dalle còmode tonache e lo svolazzante drappeggio delle Sibille e i maestosi barboni de’ Vangelisti e le guancette con l’ali e i piccioni ed il resto della celestial pollerìa.

Ma il Coro par cancellarsi, mentre si allunga c si inquadra e gli stalli di ròvere chiùdonsi come a credenza. Travi con gli scomparti a ro-