Pagina:La desinenza in A.djvu/214

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soni sostituiscon le vòlte, le cui pitture si stèndono sulle pareti — tutti soggetti ad un tempo, di cucina e di chiesa — e dalle travi vien giù, per catene, un gran cuore di rame coronato di spine, che è un lampadario dai cento lucignoli. Un caminone si disegna nel fondo, un monumento a tabernàcoli e guglie,’ e sotto, da un’integra quercia fra due colossi di alari, vampeggia una lieta dalle scoppiettanti faville. È questa l’ora del chilo e della mormorazione. La «rosa dei venti» della badessa non fé’ che cangiare poltrona. Sola, nella sua lardosa maestà, su ’n soppedaneo alto tre palmi da terra, rossa come un midollone d’anguria, lùcida come se verniciata, con li occhiali sul fronte, le nari zeppe a rapè e le manone intrecciate sulla tùmida pancia, la badessa non dà, quanto a vita, altro segno che digestivi sospiri. Ma, in attesa che Sua Beatitùdine torni a qualcuno de’ suoi cinque sensi, vedi, intorno alla tàvola che sta lunghissima in mezzo, panche di suore, qua affacendate a far mazzolini d’erba amarella e di fiori di bùlgaro, a cucire cuffiette pel bimbo della Madonna o strangolini pel chiericuccio nipote; là a ricamare paesaggi di margheritine o a stratagliare e arricciare le invoglie pei manuscristi, oppure menando la fòrbice nella inèdita gloria di cartapècora antica dannata alle compostiere; mentre Tarlesca, la sciamannata serva di tutte, dalla lingua incessante e dalle braccia a péntola, passa dall’una all’altra a raccògliere la tiritera delle commissioni inùtili.