Pagina:La desinenza in A.djvu/216

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scottato le dita di un peccatore inconfesso, o di Sàtana apparso a quella imprudente, che avèagli scritto, per ischerzo, una lèttera. E Ricciarda dal celestissimo sguardo confida alle amiche, con un tremolio di voce, di averlo veduto lei, il Maligno, una volta alla grata del parlatorio e un’altra al graticcio del confessionale, che «si sarebbe» — dice — «in buona coscienza potuto pigliare per un galantuomo», aggiungendo come talora, la notte, nelle trasparenze del sonno, una mano, aspra quale il zigrino, le frisasse la guancia (che era polve di piuma di cigno) o le stirasse il cirro riottoso che pendèvale in fronte o le aggroppisse i capelli, perfino osando (qui sosta) di palleggiarle le rotondità più gelose. Sul che, la bionda Orsolina dal colmo seno cela arrossendo la faccia contro la spalla di Edvige, la maritina di lei, la quale, beccando via il dire a Ricciarda, prende a narrare della fragranza miracolosa che emana l’arca della lor Protettrice, una fragranza di mela cotogna, e del giglio (altro letale presagio) trovato sulla coral manganella di.... e lì addita a una suora. È suor Clara, la sempre estàtica suora, dal volto che è un barlume di perla, dalla persona che è nebbia. Clara è in piedi, poggiata ad una finestra. Tien la pupilla, cupidamente, nella bujissima notte esteriore, dove la màgica lampa del suo acceso cervello dardeggia una processione di forme; tiene la palma dietro l’orecchio, quasi a raccògliere gli echi di una lon-