Pagina:La desinenza in A.djvu/218

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Al sòlito luogo, il sòlito aquasantino colla sòlita palma, il cilicio, una sferza stimolatrice e la imàgine bruna di Quella che ad aver fama di vèrgine dove’ partorire. Finalmente donna Radegonda par desta. È in camicia. Si stacca da un armadiuccio a muro, i cui battenti di altare, or sbarrati, làscian vedere un grottino, donde esce un freschetto che sa di formaggio; e tornata, leccandosi i baffi, a un tavolino pien di bottiglie dal collo argentato, tra ova sode, tartufi e caviale, la fa finita con uno Spirito Santo rimasto a mezzo presso un’altra posata. Poichè un commensale ci fu, uno almeno; basta guardare al cordone di San Francesco, dimenticato sul letto. Ma la badessa non ne par troppo edificata. Trae dal canterano un registro e si mette, con devozione, a sfogliarlo. In ogni pàgina non v’ha che una linea, una cifra, una data. Brillano a qualcheduna gli occhiuzzi di lei, neri pomelli di spillo, si riassopiscono ad altre. Carteggia fogli e carteggia, arriva infine a uno vuoto. S’arresta allora; bevucchia un dito di alchèrmes, bagnasi al labbro una ottusa matita, indi segna, con un sospiro, un tiretto, una data ed un 2, aggiungendo (dopo di avere sguardato alla pàgina retro) la somma totale di «once nostrane 40,300» pari a braccia... sì e sì, che fanno miglia... tant’altre. ¿Or dite voi, che sapete di astrometrìa — di qui al Paradiso, quanta ancor strada ci ha?

Sembra, del rimanente, che in tutto il chiostro