Pagina:La desinenza in A.djvu/245

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jali, parèano, per la pinguèdine, bestie non mai vedute; facèano quasi, più che appetito, paura. D’amore, già, non si parla. Troppa ciccia ovattava quel cuore per èssere leso da un dardo; ¡eppòi l’amore è sì incòmodo! «Chi men ride, men piange» dicèa lei. Unico vuoto che la signora Savina sentisse, era quello del ventre; zêppo il ventre, non pensava che al letto, ma non al letto di chi non vuol riposare, a un letto invece tutto mollezze, senza rimorsi e prurito, senza desìi, senza sogni, tranne qualcuno di lotto. Infatti il lotto era la sola emozione che la signora Savina si permettesse settimanalmente. E ben lo sanno que’ trè galabroni impuntigliàtisi a fare la corte alla sua uva e a disputarsi quelle cinquemila pèrtiche di cuore, al primo de’ quali, cioè il dottore Semenza, un terrìbil barbone dalla voce in falsetto, ella fe’ dire che la smettesse con le serenate, perchè la notte fu fatta, non per sonar ma dormire, minacciàndolo, se seguitava, di rinfrescargli la testa con qualche cosa di meno innocente dell’aqua, mentre al secondo, che era il maestro Giglioli dalla schiena a D e dalle gambucce a X, osservò sur il muso, che lei non amava un bel niente quella poètica confidenza di dar del «tù» nei sonetti, e che del resto non si credesse di giulebbarla con que’ nomi di Ninfa, di Madonna e di Angelo, finchè tenesse nella fascietta un àgnus di religione e una stadera in casa; e, quanto al terzo aspirante, sotto le verdi sembianze del paten-